Cenni storici e architettonici

"Lettura" teologica - liturgica del santuario di Santa Maria Incoronata di Canepanova

Dentro
la Gerusalemme celeste

Cenni storici

Santa Maria Incoronata di Canepanova: Il titolo della chiesa fa riferimento all’immagine di Maria che vi è venerata. Il nome Canepanova è quello di un’antica e nobile famiglia pavese, proprietaria di case che sorgevano dove ora si trova la chiesa: verso la fine del 1400, un affresco della Madonna che allatta il bambino, dipinto sul muro di una di queste case, incominciò a essere oggetto di speciale venerazione, perché operava miracoli. Si decise di salvare la parte di muro con l’affresco e di costruire un santuario per custodire l’immagine: il nobile Viscardo Canepanova donò il terreno della casa, altri edifici vennero demoliti per fare spazio alla costruzione, e nel 1500 si pose la prima pietra del santuario. Un’antica tradizione attribuisce al Bramante, architettoe pittore, tra maggiori artisti del Rinascimento, il disegno iniziale del progetto, realizzato però dal suo allievo Antonio Amadeo, che fu realizzato in due fasi: nei primi anni del ‘500 si costruì l’alzata della chiesa e nella seconda metà del ‘500, dopo l’arrivo dei Padri Barnabiti, fu portata a compimento la costruzione della cupola. All’edificio, inizialmente progettato a pianta perfettamente centrale, si aggiunse verso la fine del cinquecento la cupola sovrastante l’altare maggiore e nei primi anni del seicento il coro dietro l’altare maggiore e l’ampia sacrestia. Intanto si provvedeva con cura alla decorazione pittorica del santuario, che oggi costituisce una piccola pinacoteca del Seicento lombardo. L’Ottocento fu per il santuario un periodo difficile, nel 1810 Napoleone decretò la soppressione delle Congregazioni religiose e ne confiscò tutti i beni, finché nel 1915 la chiesa venne affidata ai Frati Minori francescani, che ancor oggi la custodiscono.
Nel 1961 il santuario fu ufficialmente dichiarato  santuario cittadino; per sottolineare il profondo legame che lega la città; a questa immagine di Maria cara al cuore dei pavesi.

Storia e introduzione alla lettura biblica del santuario e rappresentazione di Maria

Entrando nel santuario di Santa Maria Incoronata di Canepanova possiamo essere attratti da un esclusivo senso artistico che le diverse opere in essa contenute e la stessa architettura ci risvegliano, oppure passare, attraverso l’estetica, al senso spirituale che è capace di cogliere significati "alti" in grado di aiutarci nella preghiera e ad entrare nel mistero di Dio. Attingendo ad una bella catechesi liturgica di p. Tarcisio Colombotti, proponiamo una lettura che ci faccia comprendere le vere intenzioni di chi ha voluto dedicare questo tempio a Maria (i pavesi) e di chi lo ha progettato, costruito e decorato, dando forma e materia ad un vero e proprio cantico a Maria, "la donna coronara di stelle". Un cantico che partendo da tutte le prefigurazioni della Madre di Dio, riconoscibili non solo dalle numerose donne dell’antico testamento e dalle profezie bibliche ma anche da oracoli mitologici, giunge all’esplosione di «una festa senza fine nella beatitudine della  Celeste Gerusalemme, del Giardino-Paradiso, della nuova Nazaret, in Pavia».
La catechesi liturgica proposta da Padre Tarcisio è un viaggio spirituale, ma anche fisico, che fa muovere lo sguardo, nella ricchezza simbolica dei vari elementi pittorici e architettonici, tra livelli, dimensioni, forme e colori diversi. E che fa incontrare i protagonisti del racconto della "Gerusalemme Celeste", numerose figure, alcune in primo piano, altre nascoste, alcune portanti, altre che si affiancano a comporre la trama che ha in Maria il centro di tutto e in Gesù, il Risorto, l'apoteosi. 
Il racconto ci conduce attraverso quattro momenti diversi, quattro capitoli, dedicati all'architettura del santuario, al Paradiso-giardino, alle donne della bibbia e alla profezia con otto sibille e quattro profeti. 

ARCHITETTURA E APOCALISSE

La pianta quadrata, l’ottagono e la cupola con la lanterna

La pianta quadrata

La struttura architettonica bramantesca si eleva su di una pianta quadrata. Dice Ap 21,16: «La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali».
Il modello che ispira di questo monumento, perciò, è la Gerusalemme Celeste. L’altezza alla quale si eleva la struttura quadrata richiama un altro passo: Ap 21,12-13, «La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte». Sui quattro alti muri del quadrato del santuario, si aprono tre porte per lato, il grande arco centrale e due porte laterali. Queste due piccole porte, sul lato destro e sinistro entrando, sono occupate dal confessionale, evidente aggiunta posteriore.

Il passaggio all'ottagono

Il versetto seguente, dice: «Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (Ap. 21,14). Con esso si indica il passaggio dal quadrato all’ottagono. Infatti fin dal basamento si impianta l’ottagono che dà origine a quattro grandi archi sulle lesene dei quali sono dipinte otto croci ed altre quattro si trovano nel timpano delle quattro porte piccole. In tutto sono dodici, le dodici croci tracciate col sacro Crisma dal Vescovo nel rito di consacrazione della Chiesa e che indicano proprio i dodici Apostoli. Si tratta della ritualizzazione del testo sopracitato dell’Apocalisse e dell’altro di Ef 2,19-20: «Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù».

Queste croci annunciano il seguente messaggio: coloro che entrano in questo luogo credono, celebrano e vivono la fede apostolica e sono in cammino verso la Gerusalemme Celeste; anzi, vivere questa fede significa trasformare già ora, la città terrena in quella celeste. Questa convinzione è espressa in due piccole formelle che si trovano sui due piloni a fianco dell’altare maggiore. Sul pilone di sinistra guardando l’altare, si vede la formella che riproduce la città di Pavia circondata da fortificazioni medioevali; sul pilone di destra, la formella riproduce la stessa città di Pavia, ma circondata da mura quadrate, con tre porte per ogni lato. È la stessa città di Pavia, già divenuta Gerusalemme Celeste. Le due formelle sono collocate a fianco dell’altare maggiore il quale custodisce la venerata icona di S. Maria Incoronata di Canepanova. Il messaggio che si annuncia è chiaro: la città di Pavia, se, come Maria Incoronata, ascolterà e compirà la Parola, si trasformerà fin d’ora in Celeste Gerusalemme.
II passaggio dal quadrato all’ottagono orienta l’attenzione a due componenti della fede apostolica: la Città Celeste è collocata nell’eternità ed il suo cuore pulsante è l’Agnello immolato, pasquale. Infatti l’ottagono o l’ogdoade si rifà al ritmo delle apparizioni pasquali, come riferisce Gv 21,26: «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi». Ma l’ottavo giorno è il giorno fuori dal tempo. Infatti il ritmo settimanale è di sette giorni e quindi il giorno ottavo indica l’eternità o il non tempo, che è, appunto, la situazione propria della Gerusalemme Celeste. Così il ritmo dell’assemblea liturgica sarà “ogni otto giorni”, come il fonte battesimale sarà ottagonale. Dunque l’ottagono indica il passaggio che porta ad evidenziare la centralità dell’eternità e dell’Agnello pasquale.

La cupola con la lanterna

La cupola corona l’edificio, la Celeste Gerusalemme, la città collocata nel non tempo e che ha al suo centro l’Agnello immolato. Dalla lanterna e dalle ampie finestre rotonde della cupola entra un’immensità di luce che inonda e infiamma tutto il luogo sacro. La luce è l’immagine cosmica dell’Agnello che disse di sé: “Io sono la luce vera”. Ed anche la cupola con la sua luminosità diventa l’icona architettonica più visibile dell’annuncio di Ap 21,22-23: «Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello», e di Ap. 22,5: «Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli».
San Massimo di Torino, dice della luce del Risorto: «La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno che non conosce tramonto. Che poi questo giorno sia Cristo, lo dice l'Apostolo: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13, 12). Dice: «avanzata»; non dice che debba ancora venire, per farti comprendere che quando Cristo illumina con la sua luce, si devono allontanare da sé le tenebre del diavolo, troncare l’oscura catena del peccato, dissipare con questa luce le caligini di un tempo e soffocare in te gli stimoli delittuosi.
Questo giorno è lo stesso Figlio, su cui il Padre, che è giorno senza principio, fa splendere il sole della sua divinità. Anzi egli stesso è quel giorno che ha parlato per mezzo di Salomone: «Io ho fatto sì che spuntasse in cielo una luce che non viene meno» (Sir 24, 6 volg.). Come dunque al giorno del cielo non segue la notte, così le tenebre del peccato non possono far seguito alla giustizia di Cristo, il giorno del cielo infatti risplende in eterno, la sua luce abbagliante non può venire sopraffatta da alcuna oscurità. Altrettanto deve dirsi della luce di Cristo che sempre risplende nel suo radioso fulgore senza poter essere ostacolata da caligine alcuna. Ben a ragione l'evangelista Giovanni dice: «La luce brilla nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta» (cfr. Gv 1, 5).

La Sposa adorna nel Paradiso giardino

 

La Sposa dell'Agello

Questa città è la Sposa dell’Agnello, come si afferma in Ap 21,2: «Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo»  e Ap 21,9: “Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello». Il monumento sacro è perciò rivestito degli abiti nuziali, come una sposa adorna per lo sposo, decorato e bello in tutte le sue parti perché in esso, per la celebrazione del sacramento pasquale dell’Eucaristia, si compiono le mistiche nozze tra Cristo (lo Sposo) e la Chiesa (la Sposa). Tutto in questo luogo è giardino fiorito e canti di festa. Si è così introdotti al secondo grande tema: il Paradiso come giardino.

Il Paradiso come giardino

La Storia della salvezza è lo sviluppo di un itinerario che inizia in un giardino, il giardino di Eden, si compie nel giardino del Risorto dove il Signore si manifesta a Maria di Magdala e l’umanità è restituita alla situazione di giardino, e termina nel giardino della Città Celeste. E questo perché Dio ha creato l’uomo perché vivesse in una situazione di giardino, in Paradiso nella pienezza della gioia. I riferimenti sono al “Giardino dell’Eden”, al “Giardino della città celeste”, a “Nazaret, città del fiore”. 

Il giardino in Eden

Così si dice nel libro della Genesi 2,8-15: «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c’è l’oro e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’onice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate.Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse».

Il giardino nella città celeste

Anche il libro dell’Apocalisse parla di giardino: «Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni» (Ap 22,1- 2).

La “città giardino” o “città del fiore": Nazaret.

La città terrena nella quale il Verbo di Dio fu concepito come Uomo, si chiama Nazaret che significa appunto “città del fiore”. E la donna che lo accolse nel suo seno, Maria, è “la piena di grazia”, cioè la tuttasanta, la donna paradiso o giardino. Il monumento sacro si presenta proprio come un giardino, un paradiso. Infatti è riccamente ornato di cesti di fiori, di rami verdi, di natura morta. Sembra proprio di entrare in un paradiso, in un luogo addobbato per le nozze. Chi entra in questo santuario, entra nella città giardino, entra nella città di Nazaret dove Maria, la donna giardino domina l’edificio sacro.  Questo santuario, dunque è il villaggio di Nazaret, in Pavia. E poiché è giardino-paradiso, qui si celebra la festa in pienezza, il trionfo della festa. Infatti sulle alte balconate possiamo vedere strumenti musicali: ci sono i violini, un’arpa, un corno e trombe; ci sono gli angeli di stucco che, nella parte più bassa, suonano le trombe. È la festa del paradiso che esplode. Chi entra in questo santuario fa l’esperienza viva del paradiso dove abita Maria Incoronata e dove si incontra una miriade di Angeli, ciascuno con in mano una corona, per ornare il capo degli eletti con alloro, pugnitopo, gigli ed edera o per richiamare i misteri della fede cristologica nella la corona di spine, nella corona di spighe, nella corona di metallo dorato. Così gli eletti sono cinti della corona della gloria, a imitazione della “Donna coronata di dodici stelle”. E anche queste decorazioni pittoriche, richiamano il grande affresco di Ap 7,9-17: «Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce:“La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello”. Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo:“Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen”. Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: “Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?”. Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui:“Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello”. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi». (Ap 7,9-17)
E qui vien da chiedersi: chi sono coloro che entrano nella Gerusalemme Celeste, nel Paradiso-giardino? La risposta la dà lo stesso libro dell’Apocalisse, nel quale si dice con chiarezza chi sono gli abitanti della Celeste Gerusalemme. «Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!» (Ap 22,10-15).
E in questo monumento santo, preludio e anticipo della Gerusalemme del cielo, coloro che entrano sono indicati dall’apostolo Pietro, in 1 Pt 2,9: «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce».

Le donne dell'Antico Testamento

La madre del Signore, nella visione globale del santuario, è prefigurata in otto donne dell’Antico Testamento: Giaele, Abigail, Giuditta, Ester, Rachele, Debora, Miriam e Rebecca Entrando nel santuario a partire da destra ritratte in otto tele si incontrano tutte.

Giaele

Con un martello nella mano destra, mentre con la sinistra addita l’empio Sisara, nemico del popolo di Israele, che giace a terra, ucciso da un chiodo che la donna gli ha conficcato nel capo. Giaele è figura dell'Immacolata che schiaccia il capo al maligno serpente.

Giudici 4,17-24 - «Intanto Sisara era fuggito a piedi verso la tenda di Giaele, moglie di Eber il Kenita, perché vi era pace fra Iabin, re di Cazor, e la casa di Eber il Kenita. Giaele uscì incontro a Sisara e gli disse: “Fermati, mio signore, fermati da me: non temere”. Egli entrò da lei nella sua tenda ed essa lo nascose con una coperta. Egli le disse: “Dammi un pò d’acqua da bere perché ho sete”. Essa aprì l’otre del latte, gli diede da bere e poi lo ricoprì. Egli le disse: “Sta all’ingresso della tenda; se viene qualcuno a interrogarti dicendo: C’è qui un uomo?, dirai: Nessuno”. Ma Giaele, moglie di Eber, prese un picchetto della tenda, prese in mano il martello, venne pian piano a lui e gli conficcò il picchetto nella tempia, fino a farlo penetrare in terra. Egli era profondamente addormentato e sfinito; così morì. Ed ecco Barak inseguiva Sisara; Giaele gli uscì incontro e gli disse: “Vieni e ti mostrerò l’uomo che cerchi”. Egli entrò da lei ed ecco Sisara era steso morto con il picchetto nella tempia. Così Dio umiliò quel giorno labin, re di Canaan, davanti agli Israeliti. La mano degli Israeliti si fece sempre più pesante su labin, re di Canaan, finché ebbero sterminato labin re di Canaan».

Abigail

Saputo che il re Davide viene a punire suo marito per una mala risposta data ai servi, va incontro al re con ricchi doni e con lo sguardo pieno di confidenza, placa la sua giusta ira. Abigail è figura della Verg ine Maria che placa l'ira divina.

1 Sam 25,2-5.10-14.18-19.23-24.28.31-32 - «Vi era in Maon un uomo che possedeva beni a Carmel; costui era molto ricco, aveva un gregge di tremila pecore e mille capre e si trovava a Carmel per tosare il gregge. Quest’uomo si chiamava Nabal e sua moglie Abigail. La donna era di buon senso e di bell’aspetto, ma il marito era brutale e cattivo; era un Calebita. Davide nel deserto sentì che Nabal era alla tosatura del gregge. Allora Davide inviò dieci giovani; Ma Nabal rispose ai servi di Davide: “Chi è Davide e chi è il figlio di lesse? Oggi sono troppi i servi che scappano dai loro padroni. Devo prendere il pane, l’acqua e la carne che ho preparato per i tosatori e darli a gente che non so da dove venga? ”. Gli uomini di Davide rifecero la strada, tornarono indietro e gli riferirono tutto questo discorso. Allora Davide disse ai suoi uomini: “Cingete tutti la spada! ”. Tutti cinsero la spada e Davide cinse la sua e partirono dietro Davide circa quattrocento uomini. Duecento rimasero a guardia dei bagagli. Ma Abigail, la moglie di Nabal, fu avvertita da uno dei servi... Abigail allora prese in fretta duecento pani, due otri di vino, cinque arieti preparati, cinque misure di grano tostato, cento grappoli di uva passa e duecento schiacciate di fichi secchi e li caricò sugli asini. Poi disse ai servi: “Precedetemi, io vi seguirò”. Ma non disse nulla al marito Nabal. Appena Abigail vide Davide, smontò in fretta dall’asino, cadde con la faccia davanti a Davide e si prostrò a terra. Cadde ai suoi piedi e disse: “Sono io colpevole, mio signore. Perdona la colpa della tua schiava. Certo il Signore concederà a te, mio signore, una casa duratura, perché il mio signore combatte le battaglie del Signore, né si troverà alcun male in te per tutti i giorni della tua vita. Il Signore ti farà prosperare, mio signore, ma tu vorrai ricordarti della tua schiava”. Davide esclamò rivolto ad Abigail: “Benedetto il Signore, Dio d’Israele, che ti ha mandato oggi incontro a me». 

Giuditta

Dopo aver tagliato il capo di Oloferne, fugge dalla tenda, mentre la sua ancella raccoglie in un sudario la testa grondante di sangue. Giuditta è figura della Vergine che per grazia divina, ha riportato completa vittoria sul nemico infernale e affranca il popolo cristiano dall'incubo di Satana. “Maria est quae adversarios suos et Christi dispergit, sicut Judit interficiens Holofernem” (S. Bonaventura, Sermo V, de Nativitate)”.

Giudici 13,1-11- «Quando si fece buio, i suoi servi si affrettarono a ritirarsi. Bagoa chiuse dal di fuori la tenda e allontanò le guardie dalla vista del suo signore e ognuno andò al proprio giaciglio; in realtà erano tutti fiaccati, perché il bere era stato eccessivo. Rimase solo Giuditta nella tenda e Oloferne buttato sul divano, ubriaco fradicio. Allora Giuditta avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: “Dammi forza, Signore Dio d’Israele, in questo momento”. E con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via le cortine dai sostegni. 
Poco dopo uscì e consegnò la testa di Oloferne alla sua ancella, la quale la mise nella bisaccia dei viveri e uscirono tutt’e due, secondo il loro uso, per la preghiera; attraversarono il campo, fecero un giro nella valle, poi salirono sul monte verso Betulia e giunsero alle porte della città. Giuditta gridò di lontano al corpo di guardia delle porte: “Aprite, aprite subito la porta: è con noi Dio, il nostro Dio, per esercitare ancora la sua forza in Israele e la sua potenza contro i nemici, come ha dimostrato oggi». 

Ester

In atto di supplicare il re Assuero per la salvezza del popolo ebreo, Ester è figura della Vergine che interviene con la sua potentissima intercessione presso Dio.Maria est interpellatrix potentissima. “Habes exemplum in Ester: ‘Quae est petitio tua, Ester?’ Et statim ad verbum ejus crudelis sententia revocatur, suspenditur hostis, perduntur aemuli, populus liberatur” (S. Bonaventura, Se Mariae Virginis)”

Ester 5,1-lf - «Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, Ester tolse le vesti da schiava e si coprì di tutto il fasto del suo grado. Divenuta così splendente di bellezza, dopo aver invocato il Dio che veglia su tutti e li salva, prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva tenendo sollevato il mantello di lei. Appariva rosea nello splendore della sua bellezza e il suo viso era gioioso, come pervaso d’amore, ma il suo cuore era stretto dalla paura. Attraversate una dopo l’altra tutte le porte, si trovò alla presenza del re. Egli era seduto sul trono regale, vestito di tutti gli ornamenti maestosi delle sue comparse, tutto splendente di oro e di pietre preziose, e aveva un aspetto molto terribile. Alzò il viso splendente di maestà e guardò in un accesso di collera. La regina si sentì svenire, mutò il suo colore in pallore e poggiò la testa sull’ancella che l’accompagnava. Ma Dio volse a dolcezza lo spirito del re ed egli, fattosi ansioso, balzò dal trono, la prese fra le braccia, sostenendola finché non si fu ripresa, e andava confortandola con parole rasserenanti, dicendole: “Che c’è, Ester? Io sono tuo fratello; fatti coraggio, tu non devi morire. Il nostro ordine riguarda solo la gente comune. Avvicinati».

Rachele

Giacobbe che toglie la pietra dal pozzo perché Rachele, adorna di suprema bellezza e candore, possa abbeverare il suo. Rachele è figura della Vergine Maria che porta l'uomo ad incontrare il Salvatore. “Exurgens autem Maria in diebus illis, abiit in montana cum festinatione in civitatem Juda...Nec in itinere fecit moram, sicut Rachel, Genesis vigesimonono, quae viso Jacob, ‘festinavit ut nuntiaret patri suo” (S. Bonaventura, Comm. in evangelium Lucae, Cap. I).

Gen 29,10-11 - «Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Làbano, fratello di sua madre, insieme con il bestiame di Làbano, fratello di sua madre, Giacobbe, fattosi avanti, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Làbano, fratello di sua madre. Poi Giacobbe baciò Rachele e pianse ad alta voce».

Debora

La profetessa che regge il popolo di Israele caduto sotto la dominazione del re di Canaan, consegna ad un armigero una tavoletta contenente una legge o una sentenza. Debora è figura della Vergine Maria che con cura materna guida e conforta il suo popolo a custodire la legge della salvezza. Maria intellectui lumen et scientiam infundit, ignorantes enim docet. rudibus scientiam donat. Ipsa est sapiens illa Debora, quae israelitas de tuis singulis officiis erudiebat” (Novatus lib. 1 De Immaculata Conceptione B.M. Iustinus Mischov.).

Giud 4,4-10 - «In quel tempo era giudice d’Israele una profetessa, Debora, moglie di Lappidot. Essa sedeva sotto la palma di Debora, tra Rama e Betel, sulle montagne di Effaim, e gli Israeliti venivano a lei per le vertenze giudiziarie. Essa mandò a chiamare Barak, figlio di Abinoam, da Kades di Nèftali, e gli disse: “Il Signore, Dio d’Israele, ti dà quest’ordine: Va’, marcia sul monte Tabor e prendi con te diecimila figli di Nèftali e figli di Zàbulon. Io attirerò verso di te al torrente Kison Sisara, capo dell’esercito di Iabin, con i suoi carri e la sua numerosa gente, e lo metterò nelle tue mani”. Barak le rispose: “Se vieni anche tu con me, andrò; ma se non vieni, non andrò”. Rispose: “Bene, verrò con te; però non sarà tua la gloria sulla via per cui cammini; ma il Signore metterà Sisara nelle mani di una donna”. Debora si alzò e andò con Barak a Kades. Barak convocò Zàbulon e Nèftali a Kades; diecimila uomini si misero al suo seguito e Debora andò con lui»

Miriam

La sorella di Mosè che, dopo il passaggio del Mar Rosso, danza ed assieme ai suonatori intona il famoso canto: “Cantate al Signor. Questa Maria, profetessa ed improvvisata cantante e direttrice del coro, è figura della Madonna, "la nostra timpanista", secondo l’espressione di S. Agostino, la quale col suo Magnificat ha posto fine al pianto di Eva. (S. Agostino, Sermo XVIII, De Sanctis).

Es 15,19-21- «Quando infatti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri furono entrati nel mare, il Signore fece tomare sopra di essi le acque del mare, mentre gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare. Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze. 21 Maria fece loro cantare il ritornello: “Cantate al Signore Perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare avallo e cavaliere!»

Rebecca

Disseta il servo mandato da Abramo a chiedere una sposa per il figlio Isacco. Rebecca sta porgendo l’acqua attinta al pozzo al servo di Abramo, che è scortato da un gruppo di persone. Rebecca è figura della Vergine mediatrice di tutte le grazie. Rebecca, quae interpretatur multum accepit, est Virgo Maria” (S. Bonaventura, Sermo 11, de De Annuntiatione B. Mariae Virginis.

Gen 24,1-4. 9-18 - «Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: “Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai al mio paese, nella mia patria, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco”. Allora il servo mise la mano sotto la coscia di Abramo, suo padrone, e gli prestò giuramento riguardo a questa cosa. 11 servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viaggio e andò nel Paese dei due fiumi, alla città di Nacor. Fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad attingere.
E disse: “Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa benevolenza verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le fanciulle della città escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: Abbassa l’anfora e lasciami bere, e che risponderà: Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato benevolenza al mio padrone”. Non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era nata a Betuèl figlio di Mica, moglie di Nacor, fratello di Abramo, usciva con l’anfora sulla spalla. La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo le si era unito. Essa scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: “Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora”. Rispose: “Bevi, mio signore”. In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere».

Le donne nel paganesimo: le Sibille

 

 

Anche il mondo pagano, in qualche modo, propone profezie su Maria, la Madre del Salvatore. In questo santuario sono state accolte le sibille e collocate sulle vele, attorno alla piccola cupola dell’altare maggiore, sito che normalmente vede i quattro evangelisti con i dottori della Chiesa. Così nella suddette vele, abbiamo otto Sibille, ciascuna con un cartiglio che propone la propria profezia.

Sibylla Cumea

Deus ab alto regem dimittet Olympo (Dio manderà il re dall’alto del cielo; origine divina del Messia).

Sibylla Ellespontica

Ille persimilem formam refert (Egli porta bellezza sublime; sarà il più bello dei figli dell’uomo Ps 45).

Sibylla Delfica

Propheta nascetur ex virgine (Il profeta nascerà da una vergine; eco del profeta Isaia 7,14).

Sibylla Eritrea

Ipsa erit virgo ante partum et post partum (Ella sarà vergine prima e dopo il parto; dogma della verginità prima, durante e dopo il parto).

Sibylla Samia

Nascetur ex paupere puella (Nascerà da una fanciulla povera; è tra gli “anawim”/poveri di Jahvè).

Sibylla Tiburtina

Felix mater, cuius ubera lactabit (Felice la madre il cui seno gli darà il latte; è la lode della donna del Vangelo).

Sibylla Cimmeria

Et lac de caelo missum. (Latte mandato dal cielo;  donna prescelta da sempre come madre del Messia (NB. - In questa chiesa il cartiglio di questa Sibilla ha perso la scritta).

Sibylla Persica

Tunc vox veniet nuncia. (Allora una voce verrà annunciatrice; Annunciazione Lc 1,26ss.)

I Profeti

 

 

Che sotto le Sibille siano collocati i Profeti non è un fatto anomalo, anzi la stessa liturgia, nell’antica sequenza dei defunti, cantava: “Dies irae, dies illa / solvet saeclum in favilla, / teste David cum Sibylla”. E questo perché sia l’Antico Testamento con Davide, sia il paganesimo con le Sibille) e con le loro profezie, orientano a Cristo. Così in questo santuario, attorno all’altare maggiore, nei quattro pilastri portanti della piccola cupola, sono collocati quattro profeti dell’Antico Testamento.

Daniele

(Sotto le sibille Persica e Cimmeria): “Abitava in Babilonia un uomo chiamato loakìm, il quale aveva sposato una donna chiamata Susanna, figlia di Chelkia, di rara bellezza e timorata di Dio.” (Dan 13,2).

Ezechia

(Sotto le sibille Delfica e Tiburtina): “Io sono una nave di perfetta bellezza. In mezzo ai mari è il tuo dominio. I tuoi costruttori ti hanno reso bellissima”. (Ez 27,3-4).

Davide

(Sotto le sibille Samia ed Eritrea): “Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza. La figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d’oro è il suo vestito” (Salmo 44, 11.12.14).

Isaia

(Sotto le sibille Cumea ed Ellespontica): “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14).

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